storia


la storia di Ovodda


Il toponimo è di origine oscura, verosimilmente legato alla serie dei nomi locali protosardi. Del tutto fantasiose sono, dunque, le interpretazioni secondo le quali la denominazione deriverebbe dal fenicio “Havoth”, ‘ville, campagne’, o dal nome “Oboda”, divinità che sarebbe stata adorata dagli Arabi. I resti di età nuragica rinvenuti sul suo territorio dimostrano come sia stata già abitata in epoca preistorica. Nell’XI secolo fu aggregata alla curatoria della Barbagia di Ollolai. Successivamente fu concessa in feudo ai Mandas, sotto la cui giurisdizione restò fino al 1839, anno dell’abolizione del sistema feudale e del suo riscatto al demanio. Tra le vestigia del suo antichissimo passato figurano: i menhir di Predas fittas e Domusnovas; tombe dei giganti; domus de janas; numerosi nuraghi; la bella parrocchiale settecentesca dedicata a San Giorgio, caratterizzata dal campanile in granito e, al suo interno, dalla statua lignea di San Pietro. Comune di montagna che affonda le sue origini nella preistoria; la sua economia si fonda sulle tradizionali attività agricole e zootecniche, affiancate da un crescente sviluppo industriale. La quasi totalità degli ovoddesi, che hanno un indice di vecchiaia nella media, vive nel capoluogo comunale; il resto della popolazione si distribuisce in case sparse. Il territorio, comprensivo dell’insediamento residenziale con popolazione non stabile di Taloro e del bacino artificiale, diviso tra più comuni, di Lago Cucchinadorza, presenta un profilo geometrico irregolare, con variazioni altimetriche molto accentuate: si raggiungono i 1.266 metri di quota. L’abitato, interessato da forte espansione edilizia, conserva, nel nucleo storico, le antiche case dalla caratteristica architettura; il suo andamento plano-altimetrico è tipico di montagna. Dal punto di vista burocratico non si registrano particolari strutture: le uniche attività del genere che vi si svolgono sono quelle connesse al funzionamento dell’ufficio postale e del municipio; non manca, però, la stazione dei carabinieri. Il settore primario è presente con la coltivazione di ortaggi, foraggi, ulivi, viti e altri alberi da frutta e con l’allevamento di bovini, suini, ovini, caprini, equini e avicoli. L’industria, discretamente sviluppata, è costituita da aziende che operano nei comparti estrattivo, alimentare, dei laterizi, della produzione e distribuzione di energia elettrica ed edile. Modesta è anche la presenza del terziario: non sono forniti servizi più qualificati, come quello bancario, ma la rete distributiva è comunque sufficiente al soddisfacimento delle esigenze primarie della popolazione. Per il sociale, lo sport e il tempo libero mancano strutture di una certa rilevanza. Le strutture scolastiche assicurano la frequenza delle classi materne, elementari e medie; per l’arricchimento culturale è presente la biblioteca civica. L’apparato ricettivo, che comprende vari agriturismi, offre possibilità di ristorazione ma non di soggiorno. A livello sanitario è assicurato il solo servizio farmaceutico; per le altre prestazioni è necessario rivolgersi altrove.

la storia di Tiana

Preistoria e periodo Romano-Bizantino 

Il territorio di Tiana era abitato dall’uomo almeno dal Neolitico, come testimonia la presenza di Domus de Janas nel territorio di Mancusu, e di alcuni resti di insediamenti nuragici nelle località di Sa Piraera e Tudulo. A partire dal VI secolo a.C. mentre buona parte della Sardegna veniva mano a mano assoggettata dai Cartaginesi prima e Romani poi, le popolazioni di queste zone centrali dell’Isola, aiutate dalla morfologia del territorio montuoso e ricoperto da selve difficilmente accessibili (anche ai giorni nostri), combatterono fieramente contro gli invasori, opponendosi in particolare modo alla conquista Romana dando luogo alla cosiddetta “Civitates Barbariae". Dopo alterni periodi di relativa pace e di combattimenti, la “Gens Barbaricina", governata da Hospitone, nel 594 concluse un patto di non belligeranza con i Bizantini, suggellata con la conversione di queste popolazioni al Cristianesimo.

Medioevo 


In epoca giudicale Tiana era una “Villa” del Giudicato di Arborea, inserita nella Curatoria della Barbagia di Ollolai. Negli anni che precedettero la dissoluzione e scomparsa del Giudicato, agitati dalle lotte tra Eleonora d'Arborea e gli Aragonesi, Tiana assieme a Teti fece anche parte della Curatoria di Austis, che sicuramente fu di breve durata, infatti non compare nell’elenco delle 13 curatorie storiche del Giudicato di Arborea. Bisogna considerare che le curatorie avevano un peso economico ed una popolazione all’incirca omogenea tra loro per cui quella di Austis, costituita solo da tre piccole “Ville”, si discostava in modo eccessivo dalle restanti curatorie tale da giustificare la sua presenza nel periodo giudicale classico. In seguito, nel 1410, all’abolizione del Giudicato passò alla Corona d’Aragona, e successivamente infeduata assieme all’incontrada di Austis a nobili famiglie iberiche/spagnole che si spartirono l’Isola.


Età moderna


A partire dal 1720, come il resto della Sardegna, passò in mano ai Savoia. Una descrizione di Tiana in questo periodo ci viene data da Goffredo Casalis e da Vittorio Angius, che nel loro Dizionario scrivono:
Nel censimento del 1846 si notano per Tiana anime 571, distribuite in famiglie 151 e in case 135. Sono applicati alla agricoltura circa 100 persone, alla pastorizia 80. I mestieri hanno pochi applicati, e nel bisogno si ajutano gli uni gli altri. Le donne attendono molto alla tessitura e vendono i loro panni a’ gavoesi che lo portano in tutte le parti dell’isola per rivenderlo. Lavorano anche della tela, ma per i bisogni propri. La macinazione dell’orzo e del grano si fa ne’ ventun molini che si hanno lungo la corrente del Tino, i quali bastano non solo al servigio delle famiglie del paese, come abbiam già detto, ma a molte dei paesi vicini. Con queste correnti si mettono in movimento alcuni molini e circa 18 gualchiere, di cui si servono anche le tessitrici di altri paesi. I terreni di Tiana sono veramente poco idonei alla cultura de’ cereali, siccome quelli che sono petrosi e sabbionosi. Tuttavolta i coltivatori studiano a trarne qualche frutto. Le vigne vegetano bene e con lusso e hanno circa venti uve diverse, le quali danno un vino che nel luogo vantasi molto come spiritoso e confortante. La quantità che si ottiene nelle vendemmie è di circa 25 mila litri, i quali essendo più di quanto vuole la consumazione interna, però vendesi l’eccedente a Tonara e ad altri paesi circonvicini. Il bestiame rude componesi di vacche 250, capre 1500, porci 600, pecore 3000. Queste nell’ottobre, quando cominciano i freddi, si conducono in luoghi di più dolce temperatura e spesso nei campidani. I tianesi han guadagno da qualche poco d’orzo, di vino, e frutta (noci, castagne, che vendono ai campidani) e dal prodotto del bestiame.
Nel 1861 da Regno di Sardegna si passò al Regno D’Italia e nel 1927 venne inserita della neonata Provincia di Nuoro.

fonte Wikipedia